Il Professional Organizer (P.O.) specializzato nel domestico/personale come benefit aziendale fa la differenza anche rispetto alle nuove esigenze personali

Il Professional Organizer (P.O.) specializzato nel domestico/personale come benefit aziendale fa la differenza anche rispetto alle nuove esigenze personali

L’offerta della consulenza di un Professional Organizer ben si inserisce in un welfare aziendale evoluto e modellato sulle esigenze dei lavoratori che permette alle aziende di rendersi appetibili come datori di lavoro (employer branding), di attrarre i talenti e di limitare il ciclico cambio dei dipendenti (turn over).

Questo servizio è offerto, in modo innovativo, alle aziende ma i beneficiari diretti sono i dipendenti ed il loro benessere.

Partiamo dalle origini.

Con l’espressione “welfare aziendale”, entrata prepotentemente nel linguaggio comune anche quale settore specifico dell’area aziendale delle “Risorse Umane”, si indica l’insieme di prestazioni, diverse dal versamento di somme di denaro, erogate dalle aziende ai dipendenti per migliorare la loro qualità di vita ed il benessere loro e delle loro famiglie.

E’ una novità o qualcosa che ha radici lontane?

In Italia abbiamo avuto le prime esperienze di “welfare” già nella seconda metà del Settecento quando, Carlo di Borbone, nella seteria di Leucio,Caserta (https://www.sanleucio.it/), fece costruire case per gli operai e organizzò l’istruzione gratuita per i figli o, nell’allora Impero Austro-Ungarico vi erano particolari benefici e protezioni assicurative, per i minatori della miniera di argento di Villandro nei pressi di Bressanone (https://bergwerk.it/?lang=it).

Erano, comunque, esperienze isolate e non esistevano forme diffuse di interventi volti a migliorare la posizione dei lavoratori spesso ancora non lontanissimi dal concetto di servi della gleba.

Con la rivoluzione industriale cambiò la struttura sociale: grandi masse di persone migrarono perdendo tutto il sostegno e gli aiuti che erano garantiti dalle organizzazione famigliari contadine.

Un’importante percentuale degli operai erano donne e bambini e la permanenza presso un determinato datore di lavoro era mediamente molto breve.

Gli imprenditori si resero presto conto che per attirare manodopera qualificata, e mantenerla, occorreva fornire condizioni di vita degne e strutture sociali come scuole, Chiese, luoghi di svago, insomma essere attrattivi e non soltanto un modo per procurarsi da vivere che i dipendenti, appena si prospettava un’occasione migliore, abbandonavano.

Per soddisfare le necessità dell’epoca nacquero, fra l’altro, i villaggi operai come Crespi D’Adda in Lombardia (https://villaggiocrespi.it/) ora patrimonio Unesco o l’arcinoto villaggio Olivetti presso Ivrea (https://www.fondazioneadrianolivetti.it/ivrea-visitor-centre/) ampliato più volte fino a diventare quella fabbrica modello nel dopoguerra che tutti conosciamo.

Il Governo del periodo fascista accentrò e statalizzò anche l’assistenza alla classe operaia riducendo le iniziative private: di quell’epoca rimane, oltre all’istituzione dell’INPS, per esempio, nella pianura ferrarese, l’esperimento della trasformazione urbanistica del paese di Tresigallo oggi ammirato per l’architettura metafisica (https://www.tresigallolacittametafisica.it/).

Con il rilancio dell’economia post bellica i bisogni insoddisfatti della forza lavoro cambiarono, lo stato italiano organizzò previdenza e assistenza e nel privato, importammo dalle grandi multinazionali americane il sistema dei fringe benefit, cioè i benefici accessori concessi solo a determinate categorie di dipendenti, spesso ai dirigenti o ai quadri

L’esperienza di tentare di compensare lo scarso potere di acquisto degli stipendi sottoposti all’inflazione, di creare valore attrattivo come datore di lavoro e di aumentare la produttività non è però mai tramontata e, anzi, sta vivendo una nuova interessante stagione.

Protagonista rilevante nel nostro Paese è certamente stata Luxottica con il suo famoso sistema di welfare rilanciato in accordo con i sindacati nel 2009 a beneficio dei circa 8000 dipendenti a cui sono seguiti tanti altri esempi favoriti dall’espressa detassazione per il datore di lavoro di determinate categorie di interventi.

E’ dalla legge di bilancio del 2016, e con particolari integrazioni nel periodo post pandemico Covid-19, che l’azienda “recupera” gran parte del denaro investito e al dipendente arriva un servizio con valore aggiunto molto più alto, grazie alla detassazione, di quello che si sarebbe potuto permettere se gli fosse stato riconosciuto il semplice valore monetario in busta paga.

Ma quante aziende investono ora in programmi di welfare e cosa offrono?

Uno studio dell’anno 2022 sulle PMI italiane afferma che il 68% delle stesse supera il livello base.

Nelle aziende, non solo nelle Bcorp,  nel settore delle risorse umane viene individuata la figura del “Wellbeing Manager” che, fra le altre cose, si interessa di predisporre, spesso con piattaforme dedicate, il “ flexible benefit” cioè un paniere di servizi fra i quali il singolo dipendente può scegliere il servizio che più necessità.

L’offerta è, ordinariamente, la più ampia per poter rispondere alle esigenze di età e condizioni differenti: le esigenze di una copia con figli adolescenti sono certamente diverse da quelle di un lavoratore single in giovane età.

Tuttavia tutte mirano alla serenità del dipendente sul luogo di lavoro per migliorare la perfomance di impresa.

Le indagini ci rivelano che i servizi preferiti sono quelli che permettono di prendersi cura degli anziani, a risparmiare tempo e a conciliare casa-lavoro.

Esattamente il campo in cui il P.O. interviene più decisamente! 

Nel campo del wellbeing aziendale la scelta del P.O. può dirsi un vero “win-win-win-win ”perché gli avvantaggiati non sono almeno quattro gruppi: Il lavoratore che ha una aumentato potere di spesa e riesce a soddisfare molte sue necessità e a conciliare la vita lavorativa con quella extra lavoro, l’azienda che crea un clima che favorisce la produttività, la fidelizzazione sia del dipendente sia della comunità dei clienti, riduce le assenze ed il turn-over, la comunità che trae vantaggio da una minor sollecitazione di servizi come, per esempio del Servizio Sanitario Nazionale e da minor conflittualità (rapporto Censis-Eudamion) e,aggiungo io, il P.O. che rivolgendosi alle aziende si offre ad un’ampia platea!

Insomma alla perfezione del sistema manca solo che l’esistenza di consulenti specializzati in organizzazione dei tempi e dei luoghi della vita privata, sia maggiormente conosciuto e considerato dai responsabili del welfare aziendale che troverebbero, certamente, nell’intervento dei P.O. un effetto benessere sui dipendenti di lunga durata e gratificazione.

Infatti, per quanto quando ci rechiamo al lavoro possiamo indossare una divisa, cambiarci di abito, lavarci e disinfettarci, la sola cosa che non possiamo modificare sulla porta dell’azienda è il nostro cervello ed il suo livello di stress.

Se la mattina è cominciata con la lotta con i figli perché lo zaino scolastico non era pronto, non siamo riusciti a far colazione perché eravamo in ritardo e non avevamo preparato nulla la sera prima, oppure per vestirci abbiamo dovuto svuotare il guardaroba, il nostro atteggiamento non sarà certo lo stesso di chi è arrivato tranquillo, in anticipo evitando il traffico e dopo una sana colazione senza pensieri.

Lo stress danneggia le nostre capacità intellettive, ci conduce a commettere molti più errori e ad imparare meno.

Un dipendente stressato è meno produttivo e non collabora a un clima disteso.

Chi, grazie al servizio di un P.O., ha imparato a organizzare bene la sua vita domestica/personale e familiare è certamente molto più efficiente in azienda (verso la quale proverà gratitudine ed affezione).

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