Disturbo da accumulo – Il punto di vista dei familiari

Disturbo da accumulo – Il punto di vista dei familiari

Come viene vissuta questa patologia dalle persone vicine a chi ne soffre

Il disturbo da accumulo (noto anche come “hoarding disorder” o disposofobia) viene definito da Randy O. Frost e Tamara L. Hartl, tra i massimi esperti sull’argomento, come:

“la tendenza ad acquisire una quantità eccessiva di oggetti e l’incapacità di liberarsene, con conseguente disordine che impedisce il consueto uso degli spazi della casa e lo svolgimento delle funzioni alle quali tali spazi sono adibiti”.

È quindi evidente che non si tratta solo di un grande numero di oggetti presenti in una casa, ma anche delle qualità della vita delle persone che vi abitano (come afferma il Dr. David Tolin, psicologo clinico, specializzato in disturbi ossessivo-compulsivi, hoarding e disturbi dell’ansia)

Questa condizione ha un impatto su molti aspetti della vita dell’accumulatore; dalle condizioni igieniche, ai rapporti sociali, alla gestione delle finanze e molto altro.

Ma che influenza ha questa patologia sui familiari di chi ne soffre?

Inevitabilmente, anche la qualità della vita dei congiunti di una persona disposofobica viene fortemente compromessa.

Dover condividere disordine, scarsa igiene e problemi finanziari, può diventare insostenibile, a lungo andare, per una persona che non ha gli strumenti e le conoscenze per affrontare la situazione.

Spesso, inoltre, i familiari sono preoccupati per la salute e la sicurezza dell’accumulatore. L’eccessiva quantità di oggetti può creare un ambiente pericoloso, con corridoi stretti, pavimenti instabili e una minaccia costante di incendi o infestazioni di insetti.

Tutto ciò li spinge ad intervenire cercando di riprendere il controllo e assumendosi delle responsabilità che vanno oltre il loro ruolo.

Tra le prime azioni che solitamente vengono fatte, c’è quella di cercare di riguadagnare gli spazi, invitando il proprio caro a liberarsi di molti oggetti o, addirittura, buttandoli in sua assenza. 

L’inevitabile fallimento di tutti i loro buoni propositi diventa per loro estremamente frustrante e, dall’altro canto, l’accumulatore si sente tradito e non compreso dalle persone a lui più vicine.

In questi casi, infatti, la buona volontà di risolvere le cose non è sufficiente.

I familiari hanno spesso la difficoltà oggettiva a riconoscere i fattori scatenanti di questa condizione e tendono ad attribuirla ad una pigrizia eccessiva del loro caro, anziché ad una vera e propria patologia, quale è il disturbo da accumulo.

Davanti alle continue tensioni e incomprensioni, spesso il partner dell’accumulatore si arrende mettendo fine alla relazione; altre volte invece si lascia andare ad una sorta di rassegnazione che però non porta a nessun miglioramento.

La strategia più utile da adottare, per un familiare o un partner, è quella di fare gioco di squadra e coinvolgere esperti che hanno gli strumenti e le capacità per dare un aiuto concreto.

L’intervento di un’equipe composta da terapisti qualificati e professional organizer, infatti, può essere molto utile sia per la persona con disturbo da accumulo che per i familiari, poiché questi professionisti possono identificare le cause alla base del disturbo e sviluppare un piano d’azione per la gestione dei sintomi, nonché riprendere il controllo degli spazi abitativi.

Come afferma il dottor Tolin:

“Solo la collaborazione tra la persona con accumulo, i suoi familiari e un team di specialisti può aumentare le possibilità di successo nel trattamento del disturbo da accumulo”.

Attualmente in Italia non esiste una rete che metta in comunicazione i familiari con i professionisti adeguati, in grado di offrire informazioni e mettere a disposizione servizi psicologici e di psicoterapia.

Con il numero sempre crescente di casi che vengono allo scoperto, ci sia auspica che diventi più semplice e agevole per un familiare di un disposofobico, avere il giusto riferimento al quale chiedere aiuto.

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